Nei primi anni del Novecento la Duse aggiunge al suo repertorio altre opere di Ibsen, quali “La donna del mare”, “Edda Gabler”, “Rosmersholm”, che rappresenterà per la prima volta a Firenze nel 1906. Nel 1909 avviene il suo ritiro dalle scene. In seguito la grande attrice appare in un film muto, “Cenere” (1916), diretto ed interpretato da Febo Mari, tratto dal romanzo omonimo di Grazia Deledda. La “Divina” tornerà sulle scene nel 1921 con “La donna del mare”, portato anche a Londra nel 1923.Si spegne a causa di una polmonite nel corso di una lunghissima tournée negli Stati Uniti, all’età di sessantacinque anni, il 21 aprile 1924. Attrice sensibilissima, Eleonora Duse si preoccupa di rafforzare con lo studio e con la cultura le sue doti innate: per far questo si sarebbe rivolta ad un repertorio di livello artistico sempre più alto, interpretando opere come “Antonio e Cleopatra” di Shakespeare (1888), “Casa di bambola” di Ibsen (1891) e alcuni drammi di Gabriele D’Annunzio (“La di primavera”, “La gloria”), col quale avrebbe avuto un’intensa quanto tormentata storia d’amore, durata diversi anni. È sfumata, nella Duse, la separazione tra donna e attrice. Come lei stessa scrisse a un critico teatrale: “Quelle povere donne delle mie commedie mi sono talmente entrate nel cuore e nella testa che mentre io m’ingegno di farle capire alla meglio a quelli che m’ascoltano, quasi volessi confortarle, sono esse che adagio adagio hanno finito per confortare me“. La “Divina” non si truccava mai in scena o fuoriscena, né temeva di indossare il viola, aborrito dalla gente di spettacolo, né amava le prove, che preferiva nei foyer degli alberghi piuttosto che in teatro. Aveva una passione per i fiori, che spargeva sul palcoscenico, indossava sui vestiti, e teneva in mano giocherellandoci sopra pensiero. Dal carattere determinato recitava spesso in piedi con le mani sui fianchi e seduta con i gomiti sulle ginocchia: atteggiamenti sfrontati per quei tempi, che tuttavia l’hanno fatta conoscere e amare dal pubblico, e che la fanno ricordare come la più grande di tutte.
Testo originale a cura di Andrea Giampietro